infermiera risarcita sentenza storica

Sentenza storica: azienda sanitaria deve risarcire un’infermiera per l’aggressione subita da una paziente

“Nessuna efficace misura protettiva era stata adottata”. Con queste parole la Corte d’Appello di Ancona ha condannato l’azienda sanitaria di Ascoli Piceno a risarcire con oltre 22.000 euro un’infermiera aggredita da una paziente esasperata dall’attesa in Pronto Soccorso.

La sentenza, definita “la prima in Italia”, riconosce le “specifiche omissioni datoriali” nella tutela del personale, evidenziando come la sicurezza degli operatori sia direttamente collegata alla qualità dell’assistenza ai pazienti.

Un caso emblematico di aggressione in pronto soccorso

Il 9 luglio 2017, un’infermiera in servizio presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale Civile di Ascoli Piceno è stata aggredita da una paziente straniera che, esasperata dalla lunga attesa, ha perso il controllo. L’episodio è avvenuto alle 19:15, circa un’ora prima dell’inizio del servizio di vigilanza notturna, in un’area che, come evidenziato dalla sentenza, era priva di adeguate misure di protezione.

Dopo che il Tribunale di Ascoli Piceno aveva respinto la richiesta di risarcimento in primo grado, la Corte d’Appello di Ancona ha ribaltato la decisione il 13 febbraio 2025, stabilendo un risarcimento complessivo di oltre 22.000 euro per danni biologici e morali. La sentenza, definita dal segretario nazionale del sindacato Nursind Andrea Bottega come “la prima in Italia”, potrebbe rappresentare un importante precedente giuridico.

Un precedente significativo

Questa decisione si inserisce in un contesto giurisprudenziale che già qualche anno prima, e più precisamente nel 2017, aveva visto un importante pronunciamento della sezione Lavoro della Corte di Cassazione.

In quell’occasione, la Suprema Corte aveva riconosciuto che un’azienda ospedaliera di Palermo dovesse essere tenuta a risarcire il danno biologico, morale, professionale e patrimoniale a un infermiere aggredito da un paziente mentre era in servizio al Pronto soccorso. I giudici della Cassazione avevano infatti annullato una sentenza della Corte d’Appello favorevole all’ospedale, stabilendo che l’azienda “non aveva provato di aver adempiuto alle cosiddette obbligazioni di protezione del lavoratore” e di aver adottato tutte le misure necessarie secondo la particolarità del lavoro e le regole di esperienza.

La Cassazione aveva chiarito che l’obbligo di prevenzione di cui all’art. 2087 del Codice Civile “impone all’imprenditore di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge, che rappresentano lo standard minimale, ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificità dei rischi.”

Le responsabilità dell’azienda sanitaria

Tornando al caso di Ancona, la Corte d’Appello ha riconosciuto una “responsabilità, seppure indiretta, dell’azienda nella determinazione dell’evento lesivo”, individuando “specifiche omissioni datoriali nella predisposizione di quelle misure di sicurezza suggerite dalla particolarità del lavoro, dall’esperienza e dalla tecnica, necessarie ad evitare il danno”.

Particolarmente significativo è il richiamo alla raccomandazione n.8 del Ministero della Salute del novembre 2007, specificamente emanata per “prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari”. Benché questo documento ministeriale avesse già identificato i servizi di emergenza-urgenza come aree ad alto rischio, l’azienda sanitaria non aveva implementato adeguate misure preventive.

I giudici hanno evidenziato che:

  • il servizio di vigilanza era operativo solo dalle 20:00 alle 6:00;
  • la postazione di vigilanza era ubicata presso l’ingresso principale dell’ospedale, distante dal Pronto Soccorso;
  • non erano stati attivati piani formativi per addestrare il personale sulle procedure da adottare in caso di aggressione.

L’imprescindibile connessione tra sicurezza degli operatori e qualità delle cure

Questo caso mette in luce un principio fondamentale: la sicurezza del personale sanitario è un prerequisito per garantire la sicurezza delle cure ai pazienti. Un operatore che lavora in un ambiente protetto e sicuro è in grado di fornire assistenza di qualità maggiore, mentre il timore di aggressioni può compromettere l’efficacia delle prestazioni erogate.

Come sottolineato dalla sentenza, “il personale presente non si è minimamente posto il dubbio che una potenziale situazione di rischio aggravato per l’incolumità potesse in effetti prospettarsi”, evidenziando una grave lacuna nella cultura della sicurezza all’interno dell’organizzazione.

La formazione come elemento chiave per la prevenzione delle aggressioni al personale sanitario

La sentenza pone particolare enfasi sulla mancanza di formazione del personale come fattore determinante nell’evoluzione dell’aggressione. I giudici hanno rilevato “una totale mancanza di conoscenza di procedure di gestione di possibili atti di violenza contro gli operatori sanitari”.

Una formazione adeguata avrebbe consentito al personale di:

  • riconoscere precocemente i segnali di potenziale aggressività;
  • gestire efficacemente situazioni di tensione;
  • attivare tempestivamente protocolli di sicurezza;
  • prevenire l’escalation di comportamenti aggressivi.

Come evidenziato nella sentenza, se il personale “avesse avvertito prontamente una guardia giurata professionale del nervosismo manifestato dalla paziente a causa della lunga attesa“, l’episodio avrebbe potuto essere gestito diversamente, considerando che “la paziente ha stazionato presso il Pronto Soccorso per diverse ore, e quindi vi era tutto il tempo per prendere le opportune precauzioni“.

È particolarmente preoccupante constatare, come ha fatto il segretario nazionale Nursind Andrea Bottega, che spesso “i beni aziendali siano più protetti e tutelati del personale che si fa in quattro tutti i giorni per tenere in piedi il Servizio Sanitario Nazionale ed è costantemente alle prese con un lavoro gravoso e usurante“.

Un interesse comune: sicurezza per operatori e pazienti

La sicurezza nei luoghi di cura non riguarda solo gli operatori sanitari, ma è un elemento chiave per la tutela di tutti coloro che vi accedono, inclusi i pazienti. La protezione di medici e infermieri non è una questione separata rispetto alla qualità dell’assistenza: piuttosto, ne costituisce un presupposto imprescindibile.

È fondamentale comprendere che pazienti e operatori sanitari sono dalla stessa parte: entrambi si trovano, per ragioni diverse, a vivere e interagire all’interno delle strutture sanitarie, e il loro benessere è strettamente interconnesso. La responsabilità di garantire un ambiente sicuro e adeguatamente organizzato ricade sulle aziende sanitarie e su chi le gestisce.

Una sanità realmente sicura ed efficiente passa attraverso un’organizzazione che sappia adottare misure concrete per prevenire situazioni di rischio, coniugando la protezione del personale con la tutela del paziente, in un equilibrio che favorisca la qualità delle cure e il rispetto della dignità di tutti coloro che, a vario titolo, frequentano gli ospedali.